Il “problema “ della casa, a Venezia, ma direi in Italia è davvero un problema curioso.
Nel senso che mi pare si sarebbe potuto risolvere da decenni ed invece non pare si sia voluto.
Perché è importante che il problema non sia “agitato” solo a livello locale- cittadino, ma anche a livello nazionale-regionale ?
Penso che questa sia una battaglia più vasta che quella limitata alla sola Venezia, perché la carenza di alloggi popolari od a prezzi accessibili ai lavoratori è comune
a tante città d’Italia e quindi mettendo insieme più forze si potrà sperabilmente ottenere un risultato in tempi più brevi. E penso anche che le sole forze di un comune singolo non siano sufficienti ad una soluzione radicale.
Questo comunque non significa non agire a livello locale, perché sono comunque fermamente convinto che la gestione degli alloggi pubblici potrebbe essere molto migliore di quanto oggi non sia.
Tanti qui hanno segnalato, infatti, i tanti alloggi vuoti esistenti nel comune e quelli ancora occupati da chi non ha più titolo per farlo.
In passato, lavorando come educatore presso l’asilo notturno comunale (ex dormitorio) prima a S. Lorenzo e poi a S.Alvise (ora chiamato Casa dell’Ospitalità di S. Alvise), ho potuto osservare alcune procedure e fatti circa l’assegnazione di case pubbliche.
Ho seguito personalmente decine di ospiti della struttura di S. Alvise nelle loro domande per ottenere una casa pubblica fino all’ottenimento di questa.
Mediamente un ospite del dormitorio ci metteva 4-6 anni ad avere una sua casa.
Un tempo addirittura “record” nella sua brevità rispetto ad altri casi.
Ma godeva di un punteggio agevolato per la particolare precarietà della situazione (per vivere in un dormitorio, vi assicuro, ci vuole il pelo sullo stomaco).
Ci sono alcune “cattive” pratiche dell’amministrazione che perpetuano, a mio avviso, la mala gestione del settore casa pubblica.
Si assegna una casa pubblica ancora con una visione della società a “strati” che risale al secolo scorso:
chi è nello strato della “povertà” o del bisogno, rimarrà in quella condizione tutta la vita. Questo è l’assunto dei servizi purtroppo.
Ancora ci sono operatori che pretendono di calare un progetto di vita addosso ad una persona secondo il proprio metro.
Naturalmente ci sono anche molti operatori di qualità, qualche volta stritolati nelle maglie della burocrazia.
Non c’è il minimo tentativo ideale e progettuale di innescare il meccanismo della valorizzazione delle risorse delle persone che in queste case vivranno.
Così al “povero”, “al caso sociale” che ha bisogno della casa pubblica, una volta che questa sia stata assegnata, gli si chiede null’altro che rimanere povero o fingersi tale, lavorando in nero, non lavorando affatto o con altri espedienti.
Il nostro “povero” non è minimamente responsabilizzato nella tenuta della sua casa, che può letteralmente cadere a pezzi senza che l’inquilino intervenga, essendo egli portatore solo di diritti e di nessun dovere (tranne quello di mantenersi diligentemente povero).
Non muoverà un dito sempre pretendendo l’intervento della mano pubblica.
Sarà, non una persona con risorse interiori, capacità, rete sociale, ma solo un assistito a vita che tenderà a passare questa sua qualifica ai figli. Una scala discendente senza fine, dai costi sociali elevati e di scarsa efficienza ed efficacia.
Ingolfando in tal modo la pubblica amministrazione di un compito dispendioso ed improbo e dalla riuscita spesso deludente.
Come uscire da questa situazione ?
A mio avviso le case vanno tutte vendute alla famiglia assegnataria, che diventata proprietaria dell’immobile dovrà curarne la manutenzione sgravando la pubblica amministrazione da un sacco di lavoro e di costi.
La rata del mutuo, garantito in parte dal Comune, dalla Regione o dallo Stato e quindi ottenuto dalle banche a condizioni agevolate sarà simile all’affitto che l’inquilino pagherebbe per rimanere solo assegnatario.
L’inquilino non avrebbe il dovere di rimanere povero e potrebbe dispiegare
tutte le sue potenzialità e risorse per uscire dallo strato di “povero” o di “caso sociale”
I soldi recuperati dalle vendite dovrebbero essere continuamente investiti nell’acquisto o costruzione di nuove case.
In tal modo operando risparmi di scala: è ovvio che comprare o costruire 1000 appartamenti costa meno che comprarne uno solo per volta.
La soluzione della pubblica garanzia del mutuo andrebbe estesa anche a coloro i quali non rientrano nelle graduatorie delle case pubbliche perchè eccedenti i limiti di reddito, ma ai quali le banche non concederebbe comunque il credito per comprarla sul libero mercato.
Naturalmente un certo contingente di case pubbliche dovrebbe rimanere pubblico per le emergenze abitative, per i veri casi sociali che in ogni caso non avrebbero la possibilità di comprare la casa per i più vari tipi di handicap.
Sul come riformare le graduatorie ed altri aspetti ci ritornerò con altro post.
Non voglio tediarvi con una lunghezza eccessiva del testo.
martedì 4 agosto 2009
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